lunedì 27 febbraio 2017

FILM: T2 Trainspotting

Titolo (originale): T2 Trainspotting
Regia: Danny Boyle
Produzione: UK, 2017
Genere: drammatico
Ambientazione: Edimburgo, 2016
Cast: Ewan MacGregor, Johnny Lee Miller, Ewen Bremner, Robert Carlyle, Anjela Nedyalkova
Tratto da: romanzi Trainspotting (1993) e Porno (2002) di Irvine Welsh



Il montaggio iper-cinetico di Danny Boyle che contraddistingueva la sua regia di Trainspotting (1996) è tornato a vent'anni di distanza e la vecchiaia non si fa sentire, anzi! Ho sì ritrovato l'originale dinamismo che avevo amato nel primo film, ma se possibile ancora migliorato, o meglio, modernizzato per stare al passo con i tempi e con le "mode" (sempre che di moda si possa parlare, in fatto di montaggio per film del genere).

Il tema di fondo resta invariato anche se il pretesto - la droga - non è più al centro dell'attenzione, non è più la colla che tiene uniti i protagonisti (leggete "colla" nel senso che vi pare) ma è ciò che li ha legati in passato, quindi un'ombra presente nelle vite di tutti loro, tossici ed ex-tossici.
L'azione conclusiva del primo film - Renton che scappa con i soldi, tradendo i suoi "amici" che probabilmente avrebbero fatto la stessa cosa - si conferma essere stata una scelta che avrebbe potuto toccare uno qualsiasi tra loro, eccetto forse Spud.
La vendetta e la rabbia che Begbie e Sick Boy sentono nei confronti del "traditore" Rent, non è perché sono stati traditi dal loro migliore amico - come continuano a ripetere - ma piuttosto perché quell'azione ha rovinato le loro vite che, a detta loro, sarebbero state diverse con anche solo la metà di quei soldi. Noi possiamo capire benissimo che la ragione di tutta questa rabbia sia solo il pentimento per non aver avuto loro quell'idea ed essere scappati col malloppo.

Ci sono molti dettagli che strizzano l'occhio al primo film, primo fra tutti una delle scene finali in cui Spud colpisce Begbie con un WC - quando era proprio da un gabinetto che tutto era partito nel 1996. Il cerchio si chiude quindi, ma solo in parte, perché non sappiamo per niente cosa succederà nelle vite dei quattro dopo la fine del film, eccetto che per Begbie.
Anche i numerosi riferimenti all'attualità sono ben calibrati e inseriti nel modo giusto nella storia, stando a dimostrare che in fondo dal 1996 al 2017 tante cose sono cambiate, nel 1996 non ci sarebbero state le suonerie dell'iPhone e i face-swap di Snapchat, per culminare nell'adattamento del monologo cult entrato nella storia del cinema.

I treni che passano e che danno il titolo all'opera, tornano in questo film proprio nella scena dove commemorano Tommy, l'unico fra loro che non ce l'ha fatta, anche se paradossalmente era quello meno colpito dall'eroina.
Si giunge a una resa dei conti rispetto alle colpe di Rent (la morte di Tommy) e di Sick Boy (la morte di sua figlia), che vengono finalmente portate a galla e fungono da pareggio tra i due ex-amici, o come si riferiscono l'uno all'altro: "cosiddetti amici".

Il ritorno di Renton a Edimburgo sconvolge non poco lo squallore monotono delle vite di un gruppo del quale ormai non rimane più traccia. Sick Boy gestisce il vecchio pub della zia continuando a sniffare coca e tenendosi impegnato anche nel mondo del crimine, assieme alla ragazza con cui vive, una prostituta bulgara. Begbie rimane il più violento e irrazionale, appena evaso di prigione torna a casa - dove cerca con scarso successo di riprendere il ruolo di padre - e viene doppiamente tradito anche da Sick Boy, che gli nasconde di aver "riallacciato i rapporti" con Rent, appena tornato da Amsterdam. Begbie scoprirà a sue spese di essere stato ingannato in una delle scene che ho più amato di questo T2. Begbie appare quasi "umanizzato" dalla paternità e dal discorso che fa a suo figlio prima di andarsene ancora una volta di casa, ma non per questo si redime. Prende atto della sua violenza ma rimane pur sempre Begbie. Spud è sempre stato il mio preferito, lo vediamo nel ruolo definitivo di tossico incallito, con la sua famosa faccia scheletrica, il suo tipico appartamento da drogato in un condominio da drogato, separato dalla famiglia che in un qualche momento in questi 20 anni si era creato. Nonostante sia quello messo peggio e la sua vita appaia come la più drammatica, letteralmente al limite, fra quelle dei suoi amici, l'immagine che Boyle ci propone nel 2017 è di uno Spud quasi "puro" e innocente, per quanto mi riguarda la scrittura della lettera alla moglie è stata una delle scene più commoventi viste al cinema negli ultimi anni.

Kelly McDonald, interprete di Diane, torna anche in T2 in una scena carina ma un po' decontestualizzata, messa lì solo per farci vedere che Diane esiste ancora; stessa cosa vale per il ritorno dello scrittore Irvine Welsh che torna in un cameo nella parte di Mikey Forrster.
Credo però che questo difetto sia il male minore perché il ritorno di Diane in un ruolo con più spessore sarebbe risultato ancora più forzato probabilmente.

Molto bella la colonna sonora e, come sempre, anche il dialogo di essa con il montaggio. Senza dubbio però non si arriva ad eguagliare l'effetto che aveva avuto nel '96 visto che all'epoca si trattava di una novità per cui l'impatto emozionale qui è stato minore, essendoci ormai abituati a qualcosa di questo tipo.

Fra le mie scene preferite posso citare la conversazione di Rent con il padre, al tavolo della cucina, con l'ombra proiettata sul muro che appare come quella della madre seduta a quello che era il suo solito posto. Un altra molto bella è quando vediamo Rent farsi una pera per l'unica volta in questo film, uno degli esempi di montaggio iper-cinetico con richiamo alla scena analoga del '96. E come non citare la scena finale, Renton torna nella sua stanza con l'iconica carta da parati con motivo a treni, che inizia ad allungarsi all'infinito come un tunnel dal momento in cui parte l'attacco di batteria di "Lust for life" di Iggy Pop e prodotta da David Bowie - i due musicisti simbolo del primo film, che tornano anche come omaggio da parte di Welsh - rinnovata da un estremamente adatto remix dei Prodigy.

Una scelta che paradossalmente ho apprezzato è stata l'assenza del voice over di Rent, che non appare più come quel protagonista indiscusso che era prima, o che era anche nel libro.

Una scelta molto criticata è stato l'inserimento di tante scene prese dal primo film. Erano tante, questo è vero, ma si trattava di fotogrammi di un secondo o addirittura meno, che venivano mescolati attentamente nel montaggio iper-cinetico e che quindi non disturbavano, perché invece di appesantire la trama con cose già viste ci richiamavano alla memoria scene intere senza in realtà riproporle. Lo spettatore si ricorda una determinata scena del '96 da quella frazione di secondo che non ci accorgiamo quasi di vedere.
I richiami al passato sono particolarmente importanti per il Danny Boyle del 2017, che scava ancora più a fondo inserendo presunti filmati di Renton & co. quando erano bambini. La nostalgia si sente molto ed senza dubbio una delle protagoniste del film: la percepiamo nelle scene da Trainspotting, nei filmati in stile "super8", nei ricordi sulla Edimburgo dell'infanzia di queste persone, tra anni '70 e anni '80, ma c'è molta nostalgia anche in tutti i riferimenti all'attualità. L'iPhone di quel determinato modello con l'iconica suoneria, il persistere della tradizione conservatrice inglese usata come diversivo per rubare delle carte di credito, è un chiaro riferimento a ciò che sta succedendo con la Brexit ad esempio. Danny Boyle non ha solo giocato con la nostalgia del 1996 e dell'infanzia ma anche con la nostalgia che nel futuro si avrà del 2017, perché anche T2 - come Trainspotting - entrerà nel cult e sarà visto anche a vent'anni di distanza.

sabato 25 febbraio 2017

FILM: Piccole Donne (1949)

Titolo: Piccole donne
Titolo originale: Little Women
Regia: Mervyn LeRoy
Produzione: USA, 1949
Genere: drammatico, sentimentale
Ambientazione: USA (New England), durante la guerra civile americana
Cast: June Allyson, Elizabeth Taylor, Janet Leigh, Margaret O'Brien, Mary Astor, Leon Ames
Tratto da: Piccole Donne e Piccole Donne Crescono, di Louisa May Alcott, pubblicati negli USA durante gli anni '60 dell'Ottocento


Una delle tante trasposizioni filmiche del celebre romanzo di Louisa May Alcott, letto dalle bambine di tutte le generazioni e annoverato tra i classici della letteratura americana ottocentesca.
L'autrice stessa ha sempre definito la sua opera come "dramma familiare" e questa definizione in effetti calza a pennello anche per il film, che riassume in realtà le vicende narrate in 2 romanzi: Piccole Donne (1868) e il suo seguito Piccole donne crescono (1869).

Come molte bambine prima e dopo di me, anche io da piccola ho letto questi due romanzi e fin da subito mi sono affezionata alle vicende e alle personalità delle sorelle March, identificandomi subito con due di esse in particolare, Jo (per il tratto da sognatrice) e Beth (per il tratto più introverso).
Di recente poi ho anche riletto il primo dei due romanzi - purtroppo è l'unico che possiedo, essendo le edizioni italiane in due volumi separati. Ho sempre trovato insensata questa scelta degli editori - non solo italiani - di continuare a pubblicare i due romanzi in volumi separati quando invece negli USA sono riuniti in un solo libro fin dal 1880!

Se non avete letto Piccole Donne quando eravate piccole/i (penso abbia un sapore totalmente diverso se letto per la prima volta in età adulta) vi consiglio di leggere entrambi i libri perché mi rendo conto di come la storia limitata a Piccole donne sia incompleta, motivo per cui non esiste adattamento cinematografico che si limiti alle vicende narrate nel primo romanzo.

Come accennavo sopra, questo film non è il primo né l'ultimo ad essere stato tratto dal libro della Alcott. Io conosco bene soltanto la versione del 1994 diretta da Gillian Armstrong, con l'importante contributo di Winona Ryder (nel ruolo di Jo). Esiste anche una versione precedente, diretta da George Cukor del 1933, con Katharine Hepburn che interpreta Jo; oltre anche ad una versione muta ancora precedente (1918) che purtroppo è andata perduta.
Esistono poi diverse altre trasposizioni, dalla televisione alle serie animate (tra le quali cito il teleromanzo del 1955 firmato Majano, che ha avuto anche un remake nel 1989).

Questo lungometraggio a colori incarna a pieno l'immagine colorata che Mervyn LeRoy ha scelto per adattare un'ambientazione non proprio rosea, prodotto in anni altrettanto poco colorati. Penso che ciò che colpisce di più vedendo questa pellicola siano proprio i colori, resi i veri protagonisti dell'aspetto estetico-visivo a partire dai titoli di testa che già da soli creano già un'atmosfera. Ricordiamo che all'edizione del 1950 degli Academy Award, gli scenografi e arredatori si aggiudicarono l'Oscar per la "Migliore scenografia a colori".
Per l'impatto visivo specialmente, si discosta molto dal genere che contraddistinse Mervyn LeRoy durante gli anni '30, ovvero film in bianco/nero su gangster, Grande Guerra e Grande Depressione.
Il richiamo è molto più immediato con un film del 1939 (co-prodotto da LeRoy) anche se di ben altro genere, Il mago di Oz. Negli anni '40 produsse molte pellicole di successo con attori celebri, ma poche furono quelle a colori, o per lo meno il colore non raggiunge un impatto così prevalente - e quasi prepotente - sul linguaggio visivo.

La vicenda narrata, ambientata durante la guerra di Secessione americana, pone al centro le semplici esistenze delle quattro giovani sorelle March. Ognuna ha la propria personalità, i propri problemi (spesso legati proprio ai loro caratteri per certi versi difficili), i propri amici e i propri limiti.
La finalità di questa storia, che ho percepito molto più chiaramente leggendo il libro, è educativa e di formazione; molta attenzione viene posta sulle "buone azioni" delle sorelle e un buon accento viene dato anche al rapporto con la madre. I risvolti più interessanti della storia sono quelli tratti dal secondo volume, che almeno in questa versione del 1949 vengono in gran parte risolti in pochi minuti a fine pellicola.
Nonostante dalla storia della Alcott non compare un focus così forte e delineato per una delle sorelle in particolare, il film di LeRoy punta indubbiamente l'obiettivo su Jo (anche altre trasposizioni lo fanno). Le giovani interpreti delle quattro sorelle erano fra le più amate dell'epoca e negli anni a venire: Margaret O'Brien - famosa attrice bambina, Elizabeth Taylor e Janet Leigh sulle quali non credo ci sia nulla da dire, gli emozionanti June Allyson e Rossano Brazzi, la mitica Mary Astor e naturalmente Peter Lawford - futuro membro del Rat Pack.

Molti sono i richiami agli anni 1950, l'impronta dell'anno di produzione è un marchio di fabbrica evidente, ma come è giusto tener conto anche la versione del 1994, sicuramente più cupa e realistica  mantiene sempre qualche richiamo visibile al presente della produzione. Un esempio su tutti: le pettinature inequivocabili, ottocentesca con un gusto pin-up nel primo e ottocentesco con un gusto boy-band nel secondo.

Se facessero un remake di Piccole Donne (visto che sembra essere di moda il remake negli ultimi tempi) lo andrei a vedere con molto interesse in questo caso, anche perché oggi si tenderebbe alla maggiore accuratezza storica possibile. Non guasterebbe e sarebbe anche curioso vedere gli effetti di una collaborazione britannica per un eventuale adattamento perché come a volte "ci vogliono gli americani per are un film così inglese", è vero anche il contrario.

martedì 21 febbraio 2017

FILM: 10 piccoli indiani (1945)

Titolo: Dieci piccoli indiani
Titolo originale: And Then There Were None
Regia: René Clair
Produzione: USA, 1945
Genere: giallo
Attori: Barry Fitzgerald, Walter Huston, Louis Hayward, June Duprez, Roland Young, Richard Haydn, Judith Anderson
Tratto da: romanzo omonimo di Agatha Christie del 1939


Prima pellicola tratta dal celebre romanzo giallo di Agatha Christie, che ho letto anni fa e che ho amato. In realtà però la storia la conoscevo fin da piccola perché vedere i film di 10 piccoli indiani è sempre stata una sorta di "rituale" o di "tradizione" dalla mia infanzia, fino ad oggi.
Sono quasi certa di aver visto ogni singola versione del film, compresa la recente miniserie.
Questa del 1945 è la prima realizzata, in bianco e nero, fedele in realtà più alla versione teatrale del 1943 scritta dalla Christie, specie nel finale.

Sono sicura che conoscerete già tutti la storia di fondo ma la accenno lo stesso, almeno a grandi linee.
Dieci persone che non si conoscono fra loro vengono invitate, tramite una lettera - ognuno per diversi motivi, a trascorrere un periodo in una villa remota su un'isola. Qui si ritroveranno e inizieranno a conoscersi, ma presto capiranno che c'è qualcosa di misterioso: i fantomatici coniugi Owen che li avevano invitati ma che nessuno ha mai visto di persona, non sono presenti sull'isola e a quanto pare loro invece ci sono bloccati senza possibilità di scampo.
Col passare dei giorni però iniziano ad esserci le prime vittime e la cosa si fa sempre più inquietante: come centrotavola ci sono 10 statuine che spariscono una alla volta man mano che le vittime aumentano.

La mia scena preferita? Quando i personaggi maschili si spiano a vicenda, in quell'impeccabile gioco di incastri tra stanze comunicanti, porte e macchina da presa che segue letteralmente gli attori quasi come fosse lei stessa una di loro e li stesse a sua volta spiando.

Il regista e gli attori sono tra i più amati del periodo, lo sceneggiatore Dudley Nichols è una firma di garanzia (per non parlare delle musiche di Castelnuovo-Tedesco); la produzione è sicuramente un cult per quanto mi riguarda perché nonostante io ami anche le altre versioni - ognuna per motivi diversi - questa è l'unica che riesce a dare quel "sapore" o atmosfera che ho immaginato leggendo il romanzo.
Profondamente hollywoodiano, anche al di là dei nomi presenti nel cast e crew, ogni singolo fotogramma trasuda Hollywood, persino le voci degli attori.
Ho trovato ad esempio estremamente accurata la ricostruzione storica degli anni '30 nella serie TV della BBC ma nemmeno la trasposizione più attenta nella scenografia e costumi potrà mai eguagliare le sensazioni che un film del 1945 saprà dare.

domenica 12 febbraio 2017

FILM: Miss Peregrine - La casa per ragazzi speciali

Titolo: Miss Peregrine - La casa per ragazzi speciali
Titolo originale: Miss Peregrine's Home for Peculiar Children
Regia: Tim Burton
Produzione: USA, 2016
Genere: fantastico, avventura
Ambientazione: contemporanea e anni 1943, USA e Galles
Attori: Eva Green, Asa Butterfield, Ella Purnell, Samuel L. Jackson, Judi Dench, Rupert Everett
Basato sul romanzo di Ransom Riggs del 2011 "La casa per bambini speciali di Miss Peregrine"


Miss Peregrine è stato scelto da me come ultimo film da andare a vedere al cinema nel 2016, a dicembre, come penso tante altre persone curiose di vedere questo ultimo lavoro di Tim Burton.
La mia curiosità era doppia: oltre a voler vedere se Tim Burton migliorava o peggiorava infatti, avevo letto un paio di mesi prima il libro di Ransom Riggs.

Partiamo dal presupposto che il libro è un YA e a me questo genere non fa impazzire, non lo leggo spesso ma l'ho fatto perché ero curiosa per la sua fama e perché appunto stava per uscire il film.
A ottobre infatti ho completato questa lettura e con mia sorpresa devo dire che l'ho trovata piacevole - certo, né un capolavoro, né lo consiglierei ai miei amici - però la mia reazione era: non male.
Il libro come "oggetto" ma anche la caratterizzazione dei personaggi e la descrizione dei luoghi facevano di questo romanzo un'opera dall'atmosfera piuttosto creepy, perfetto per Halloween, ma quel "creepy da inizio Novecento" non so se mi spiego (provate a cercare le fotografie d'epoca collezionate da Ransom Riggs e presenti nel libro, avrete un buon esempio).

Lasciando per ora stare il fatto che il libro è soltanto il primo di una trilogia, non mi è per ora giunta voce di un ritorno alla regia da parte di Burton per i capitoli successivi. Chissà se accadrà come per Alice in Wonderland, con il cambio alla regia?

Noi tutti sappiamo che Tim Burton da anni ormai non ci regala più un film del tutto soddisfacente, soprattutto se abbiamo presenti i suoi bei lavori del passato. Devo aggiungere però che personalmente non lo ritengo uno dei miei registi preferiti, nonostante sia molto affezionata ai suoi vecchi film che nella mia infanzia erano tra i miei preferiti.

Fin dal trailer, non ero rimasta proprio convinta, in parte per l'atmosfera molto "Disneyana" più che "Burtoniana" e poi per la scelta di Eva Green come Miss Peregrine, quando io me la immaginavo più come una vecchietta inquietante stile Tata Matilda (Emma Thompson); non che io sia una purista delle versioni originali ma secondo me il libro è stato stravolto, se non altro per l'atmosfera, oltre ad essere stato tanto banalizzato (vedi Samuel Jackson nel ruolo del cattivo "tonto").

Quindi, parlando come spettatrice che ha letto il libro, posso dire che questo film non mi ha soddisfatto perché non "tratta bene" quegli elementi interessanti che c'erano nella storia originale e contando che il romanzo non è esattamente un capolavoro letterario ma è un YA carino, Burton sarebbe stato perfettamente in grado di migliorarlo e caratterizzarlo rendendolo anche più interessante. Non posso negare il fatto però che almeno questa volta non sono rimasta delusa da Burton come tutti gli ultimi suoi film che ho visto, chissà però se sarebbe stato lo stesso con una sceneggiatura originale! Continuo a chiedermi come sarà il prossimo film di Burton con una storia originale e nel frattempo devo ancora decidere se andare avanti con questa trilogia di libri/film.

lunedì 6 febbraio 2017

FILM: Jawbreaker

Titolo: Amiche cattive
Titolo originale: Jawbreaker
Regia: Darren Stein
Produzione: USA, 1999
Genere: thriller, drammatico, commedia
Ambientazione: USA, contemporanea
Attori: Rose McGowan, Rebecca Gayheart, Julie Benz, Judy Greer, Pam Grier


Forse avrei dovuto scrivere questo post non appena avevo visto il film a dicembre, perché anche se la febbre da cult non è si è ancora abbassata, in quel periodo ero veramente ossessionata dalle immagini colorate di questo film che mi continuavano a venire in mente.
Mi verrebbe quasi da non consigliarlo perché so che tanti non l'hanno apprezzato ma secondo me tutto sta nel capire le intenzioni del regista ed essere sulla sua stessa lunghezza d'onda, non saprei come spiegarlo in vere e proprie parole.
Continuo a essere convinta che qui vengano portate a compimento quelle intenzioni che erano buone e si salvavano da Mean Girls, ma Mean Girls dove - avete visto Amiche cattive??

Se poi siete amanti del trash e con questo intendo dire che lo apprezzate davvero e in modo "sottile" non potete assolutamente perdervi Jawbreaker perché sarà fonte di continue ispirazione e riflessioni, al pari di un grande classico (eruditi del trash, mi capite?)

Fern Mayo (Judy Greer) è la ragazza invisibile e sfigata del liceo dal quale punto di vista noi vediamo la storia, anche se ci sono momenti in cui siamo a conoscenza anche di cose che lei non vede.
Tutto inizia il giorno del compleanno di Liz Purr (Charlotte Ayanna), unica ragazza considerata gentile e di buon animo da Fern, che però fa parte del gruppo delle st****e (streghe) della scuola.
Per qualche motivo infatti le migliori amiche della festeggiata sono Courtney (Rose McGowan) vera leader del gruppo, e altre due biondine poco degne di nota che sono in realtà delle suddite passive e un po' stupidine, ma indubbiamente fashion, nel senso millennial del termine.
Insomma, la mattina del compleanno, prima che la festeggiata si svegli, le altre 3 le """fanno una sorpresa""" prendendola dal letto, imbavagliandola e legandola, gettandola nel bagagliaio della macchina non prima di averle ficcato una gigante caramella in bocca per zittirla: caramella tonda chiamata Jawbreaker. Purtroppo il nome del dolciume si rivela fatale per Liz perché la palla le finisce in gola e muore. Le amiche se ne accorgono quando arrivano al centro commerciale e decidono di insabbiare tutto, riportandola a casa sua, rimettendola a letto e inscenando uno stupro.
Nel frattempo Fern viene incaricata di portare i compiti alla compagna assente (per un valido motivo) ma quando arriva a casa sua ci trova una scena poco carina.
Fern verrà ingaggiata dal gruppo per sostituire Charlotte, prendendone il posto, cosa sempre aspirata da lei - in cambio non dovrà rivelare cosa ha visto.
In poche parole, la più cattiva alla fine è Mayo(nese).

Il nome d'arte scelto da Fern per questa sua nuova identità è Vyllette, io sto leggendo proprio ora "Villette" di Charlotte Brontë, casualità? Non credo.

Altri motivi per cui non potete perdervi questo film:
- cammeo di Marilyn Manson (super-inquietante, farete gli incubi)
- guardatelo in inglese, perché già dal titolo si capisce che la versione italiana NO
- la canzone Yoo Hoo dei Imperial Teen
https://www.youtube.com/watch?v=BuXpO3SUPRU

Ascoltate la canzone e sarete nel modo giusto per vedervi questa perla assoluta, autentico trash-cult!!