Sabato 2 settembre 2017 - quarta giornata alla Mostra del Cinema di Venezia
La mia quarta giornata alla Mostra è iniziata la mattina presto con due proiezioni una di seguito all'altra nella stessa sala (la gelida e scomoda fantomatica PalaBiennale). Per fortuna era mattina perché altrimenti le condizioni non sarebbero state favorevoli a mantenere la concentrazione per ore di seguito. In particolare, prima del documentario di cui parleremo oggi, ho avuto il piacere di vedere Lean on Pete, di cui ho scritto nel precedente post.
Le mie aspettative per Human Flow purtroppo non erano molto alte perché già dal giorno prima sentivo pareri piuttosto contrastanti e onestamente le mie precedenti esperienze con l'artista e attivista cinese Ai Weiwei non sono state le migliori. Ho cercato il più possibile di approcciarmi al documentario con la mente più aperta possibile e di non lasciare che i pregiudizi avessero la meglio.
Parlare di profughi e rifugiati è importante e su questo non ci piove. Siccome questo argomento è uno tra i più scottanti al momento avrei immaginato un messaggio molto più acceso, quasi provocante, da parte dell'artista cinese. Weiwei invece ha scelto di dedicarsi alla questione dal punto di vista più generale e vasto possibile optando per un resoconto sulle migrazioni in tutto il mondo, passando di confine in confine, spaziando tra diverse cause che spingono le persone a spostarsi e talvolta a scappare. Non mi aspettavo un approccio così piatto - e davvero troppo vasto che rischia di essere dispersivo - da un uomo che ci ha dato prova di saper sorprendere le persone, che voi siate o no d'accordo con i suoi messaggi.
Parlare di profughi e rifugiati è essenziale al momento, dicevo prima. Raccontare il fenomeno delle migrazioni è invece sicuramente interessante ma dobbiamo pur sempre tener conto del fatto che la gente ha sempre migrato e sempre migrerà. Non dico che un documentario del genere sia totalmente inutile ma non ci presenta cose che già non sappiamo. Non illumina il pubblico circa aspetti più nascosti e pungenti, non suscita nella mente dello spettatore il formarsi di domande e riflessioni originali e stimolanti.
L'impressione che il pubblico di Venezia ha percepito è stata quella di una "vetrina" grazie alla quale Weiwei si sia messo in mostra, come ha sempre fatto peraltro nel corso di tutte le missioni umanitarie a cui ha partecipato. Non metto in dubbio che le sue intenzioni siano fra le migliori possibili ma non vedo perché dovremmo congratularci con lui quando ha la possibilità di fare il giro del mondo, tornare al sicuro nel suo studio di Berlino e apparire in un terzo delle inquadrature di questo suo "documento sui migranti nel mondo".
La scelta di comparire così spesso ha dato fastidio ma credo che ancor più irritante siano le situazioni in cui ciò accade. Prima lo vediamo consolare e porgere fazzoletti ad una donna che inizia a piangere. Poi lo vediamo scherzare offrendo a un profugo uno scambio di passaporti. C'era bisogno di calcare la mano su sé stesso in questo modo? Sempre nel ruolo del buon samaritano.
Lo stile documentaristico non è nulla di originale, piuttosto monotono e stucchevole - a tratti irritante a casa dell'esibizionismo del regista.
Mi scuso se mi sono troppo concentrata sulla figura del regista e poco sul contenuto del documentario ma obiettivamente questo volo d'uccello attraverso 23 paesi rischia di essere troppo dispersivo e poco efficace. A mia discolpa devo avvertirvi che se pagherete il biglietto per vedere Human Flow va tenuto conto che per metà del tempo vedrete Ai Weiwei, quindi pensateci bene perché oggigiorno di documentari di questo tipo ce ne sono diversi. Non penso che sia una brutta opera, che sia inutile o che contenga un messaggio negativo ma se volete un consiglio vi propongo Viaggio della speranza (Reise der Hoffnung, Xavier Koller, 1990) che vinse l'Oscar per il miglior film straniero e che colpisce in modo molto efficace il pubblico proprio perché sceglie di concentrarsi su una situazione più specifica.
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